L’identità affonda le radici nel primo Chakra, nella stabilità, nell’equilibrio, e si nutre a partire dalle basi solide acquisite in un ambiente di crescita che fornisce sicurezza, e certezza di essere accettati.
L’identità si basa sulla fiducia, sulla certezza di avere diritto di esistere, sulla capacità di porre dei sani confini.
Ma è attraverso il terzo Chakra che si sviluppa, con l’individuazione, tramite la conquista dell’autonomia, del distacco da ciò che rappresenta la protezione delle persone significative o di un gruppo all’interno del quale si ha la certezza di approvazione.
Individuazione vuol dire comprendere più parti di sé e ampliare la propria percezione del Sé, vuol dire utilizzare la volontà per agire e assumersi la responsabilità delle proprie azioni.
Identità è avere potere personale, un potere intrinseco non dipendente dall’esterno, ma che all’esterno emana la sua energia.
È coraggio di superare vecchi modelli di comportamento per trasformarsi in ciò che realmente si è.
È su una identità chiara e ben definita che si basano le relazioni sane, relazioni tra identità, cioè tra individui completi che non si fondono uno nell’altro e non confondono le proprie dinamiche con quelle dell’altro.
Così anche a livello sociale, l’identità in relazione all’ambiente è tanto meno volubile quanto più è importante la consapevolezza di sé, e quanto più l’individuazione parte da un primo Chakra in equilibrio e da un terzo chakra che si manifesta in modo sano e armonico. Tutto ciò passando attraverso un secondo chakra energeticamente sano grazie alle circostanze favorevoli per il suo sviluppo.
Quanto sono importanti infatti le emozioni per l’identità! Ci si riconosce anche in base alle proprie emozioni. Chi saremmo senza la nostra rabbia o senza la nostra tristezza?
È significativo inoltre il modo in cui percepiamo la fluidità, la capacità di adattamento alle situazioni e circostanze: con l’aiuto di una consapevole e definita identità, l’adattamento si attua senza fare compromessi con “chi sono”.
Il terzo Chakra trascende la dualità del secondo. È per questo che se tutto è in equilibrio e scorre in maniera fluida, l’identità supera la dualità oppositiva e quindi comprende diverse parti di sé. Ad esempio non si è o amante o madre, o questo o quello, ma si può essere e questo e quello.
Quante volte poi ci identifichiamo o ci identificano in relazione agli altri: madre di… figlio di… moglie di…
L’identità unica non può funzionare, è illusoria e frustrante, ci fa sentire in gabbia perché non è reale.
Questo comprendere diverse sfaccettature di sé tuttavia non è sempre accettabile per la società, che ama identificare le persone inquadrandole dentro caselline preconfezionate che contengono una sola visione.
C’è in questo modo l’illusione del controllo, per evidente mancanza di imprevedibilità: se etichettiamo una persona abbiamo l’illusione di conoscerla e quindi di sapere come si comporterà.
Noi stessi potremmo vivere la frustrazione di non riconoscerci in nessuna casellina preconfezionata, e sentire il dovere di conformarci a una. Il nostro giudice interiore, che rappresenta la voce delle figure di riferimento e della società, ci dice che dobbiamo stare in una o in un’altra casellina. Dobbiamo per forza scegliere.
Ma anche no!
L’identità è sì unica, ma complessa con mille sfaccettature, piena della ricchezza della comprensione di tutte le parti di sé.
Avere un’identità chiara è una cosa meravigliosa, e frutto di un lungo lavoro di esfoliazione, ma allo stesso tempo può essere fonte di guai!
Perché tante e tante volte, e per tante di noi, capire chi siamo significa escludere tutto quello che non siamo.
Questo può funzionare finché non diventa quasi un dovere incasellarsi dentro una definizione che spesso è fatta di una sola parola.
A causa dei nostri condizionamenti sociali, culturali ecc… abbiamo nella testa tante caselline, ognuna con un nome specifico, in cui infiliamo le persone che conosciamo e in una di queste vogliamo mettere noi stesse per riconoscerci.
Insomma l’identità può essere un’arma a doppio taglio, perchè a un certo punto emerge un leggero malessere, ci si sente in gabbia, giudicate (e spesso siamo noi stesse a giudicarci) sbagliate, inadeguate.
Perché?
Prova a rispondere alla domanda “chi sono io?” e prova a legittimarti a rispondere con più di una parola.
Sì perché si può essere anche tante “cose”. Insieme.
Puoi essere estroversa e selettiva insieme.
Puoi essere una dottoressa e un’artista. Insieme.
Non solo l’uno O l’altro, ma l’uno E l’altro. Insieme.
E questo spiazza, perché ci è stato insegnato che si può essere in un modo O nell’altro.
Ma è come un vestito troppo stretto.
E quando non sappiamo cosa siamo, quando ci sentiamo in gabbia, inadeguate, sbagliate, probabilmente è perché non riusciamo a incasallarci nelle scatoline preconfezionate dalla società.
Perché siamo tanto, e in una sola scatolina non ci stiamo! Ecco il guaio: che se pretendiamo di infilarci a forza in quella scatolina, necessariamente alcune parti di noi verranno escluse. E cominceranno a scalpitare per essere riconosciute. E la fatica sarà doppia: prima escluderle, poi faticare a riconoscerle e includerle nuovamente!
Per stare bene, per non sentirci in gabbia ma libere, non inadeguate ma all’altezza, non sbagliate ma perfette così, tutte le parti di noi vanno com-prese, prese insieme.
Ricorda: il lavoro di esfoliazione e discernimento per comprendere chi sei, va fatto tenendo presente che l’identità non è univoca ma multicomprensiva e piena di sfaccettature meravigliose che ti rendono unica.
Identità Multicomprensiva
